Martedì 17 gennaio l’Assemblea Legislativa della Regione Emilia-Romagna ha approvato a maggioranza (contrari PDL e Lega Nord) la risoluzione presentata dai consiglieri del Pd finalizzata a sostenere la campagna “L’Italia sono anch’io”, per la raccolta di firme a sostegno di due proposte di legge di iniziativa popolare in materia di riforma del diritto di cittadinanza, che prevedono l’una l’introduzione per i minori dello “ius soli temperato” e l’altra il riconoscimento del diritto di voto, relativamente alle elezioni amministrative, ai lavoratori regolarmente presenti da cinque anni. Il consigliere regionale PD Antonio Mumolo, tra i firmatari della risoluzione, è intervenuto nel corso del dibattito.

L’intervento in aula del consigliere regionale PD ANTONIO MUMOLO:
Martedì 17 gennaio – Assemblea Legislativa Regione Emilia-Romagna

Intervengo ovviamente per dichiarare il voto favorevole del Gruppo del Partito Democratico alla proposta e anche all’emendamento e per ricordare che “L’Italia sono anch’io” è una campagna nazionale per i diritti di cittadinanza e di voto che è stata promossa nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia da 18 associazioni, tra cui l’ARCI, le ACLI, la Caritas, il Centro Astalli, i diversi sindacati, la Tavola della pace.
Sono 18 associazioni che hanno ritenuto che ci sia una forte esigenza di affrontare il tema in questo momento. Lo preciso per rispondere a chi ritiene che ci sia ben altro, perché ogni volta c’è sempre ben altro e ogni volta questa non è mai la priorità.
Non sarà la priorità, però ci sono tantissime persone in questo Paese, che fanno parte di queste 18 associazioni, le quali hanno ritenuto, invece, importante una campagna come “L’Italia sono anch’io”, la campagna di condivisione di due proposte di legge, una relativa allo ius soli e l’altra al voto amministrativo per gli immigrati, e che hanno ritenuto che questi siano temi di una data importanza su cui quanto meno bisogna discutere.
Do atto a chi ha parlato prima della minoranza, il consigliere Lombardi e altri, del fatto che la discussione poi porta a un risultato. Io sono avvocato, mi occupo di diritto dell’immigrazione e so benissimo quanto ci vuole per richiedere la cittadinanza dopo essere stati dieci anni legalmente in Italia e aver pagato le tasse. La legge stabilisce già 730 giorni dalla domanda, ma non sono mai 730 giorni. È una burocrazia infinita per una persona che è vissuta in Italia per tanti anni, che non ha mai commesso reati e che si vede, però, respingere una richiesta legittima o quanto meno si vede non rispondere per anni e non sa quando arriverà la sua risposta.
Noi ci troviamo in questa situazione e già il fatto che Lombardi e altri di questa minoranza rispetto a questo argomento che abbiamo affrontato oggi in Aula ritengano che, quanto meno dal punto di vista burocratico, un interventi si possa compiere è già un passo avanti, che io apprezzo. È già un passo avanti per riconoscere diritti e cittadinanza a persone che oggettivamente dovrebbero poterne usufruire.
L’altro giorno in televisione ho visto un servizio su una ragazza che parlava il romanesco. È nata a Roma, è sempre stata a Roma – qualcuno di voi l’avrà vista – e oggi si trova al CIE semplicemente perché, una volta compiuti i diciott’anni, per una serie di questioni familiari particolari, non è riuscita a presentare la domanda per ottenere la cittadinanza.
Scaduti i termini per la domanda, oggi si trova al CIE e dovrebbe andare non so se in Marocco o in Tunisia, in una realtà che non conosce assolutamente, che non ha mai conosciuto, dove parlano una lingua che lei non conosce. Queste sono le situazioni paradossali in cui noi ci troviamo oggi.
Per carità, la quaestio dello ius soli può essere temperata, si può ragionare in merito. In America, per esempio, chi nasce sul suolo americano è cittadino americano. Potremmo decidere in maniera un po’ diversa, potremmo ragionare, però è importante arrivare a una soluzione. La proposta di legge di iniziativa popolare presentata da “L’Italia sono anch’io” va in questa direzione.
Per quanto riguarda il voto amministrativo, che cosa si può dire? In Italia votano alle amministrative i cittadini europei, anche se sono rimasti sul territorio nazionale per pochissimo tempo, così come noi votiamo nelle amministrazioni delle altre città europee.
Quando c’è una persona che da cinque anni si trova sul territorio italiano, non ha mai commesso reati e lavora, paga le tasse e contribuisce alla richiesta e allo sviluppo di questo Paese, come si può negarle il diritto di voto? Perché glielo si dovrebbe negare? Non vedo una ragione valida per impedire a una persona che è sul nostro territorio e, come noi, lavora nelle nostre fabbriche, nelle nostre aziende e contribuisce al nostro sviluppo, di votare per l’amministrazione. Non stiamo parlando del voto alle politiche, ma dell’amministrazione.
Non riesco a capire perché si dovrebbe negare un diritto del genere, per quale motivo. C’è tantissima gente che potrebbe, usufruendo di tale diritto, contribuire ancora di più allo sviluppo della nostra società, a un’integrazione diversa, a una multiculturalità diversa. Oggi queste persone sono escluse e non si capisce davvero il motivo per cui dovrebbero esserlo.
Noi continuiamo con questa battaglia. L’approvazione di questa risoluzione fa parte di questa battaglia e ci auguriamo che, una volta raggiunto il numero delle firme, le leggi in oggetto si discutano in Parlamento per arrivare a una posizione diversa, che, peraltro, rimetta in linea l’Italia con la media europea.
Voi sapete che per ogni mille stranieri richiedenti in Italia solo l’1,5 per cento ottiene la cittadinanza, nonostante le domande, mentre, per esempio, il numero è cinque volte superiore nel Regno Unito e la media europea è di 2,4. Tra le diverse questioni in cui siamo indietro c’è anche questa. Dovremmo quanto meno riallinearci alla media europea. Grazie.

OG2011032759