Antonio Mumolo è intervenuto nell’ultimo Consiglio Comunale di Bologna, in occasione dalla giornata mondiale della lotta alla povertà.

L’intervento

Come succede ormai da 17 anni, lo scorso 17 ottobre si è celebrata la Giornata mondiale della lotta alla miseria. Ogni anno il 17 ottobre è la data più importante per tutte le organizzazioni che si occupano di persone senza fissa dimora e di esclusione sociale, e in tutte le città del mondo si tengono iniziative e manifestazioni che rendono maggiormente visibili problemi che generalmente vengono nascosti dietro un velo di ipocrisia e di assistenzialismo.

La consuetudine di festeggiare questa giornata nasce il 17 ottobre 1987, quando davanti a 100 mila persone, padre Joseph Wresinski inaugurò una lapide in commemorazione di tutte le vittime della miseria: a Parigi, sul «sagrato delle libertà e dei diritti dell’uomo», al Trocadero. La tradizione è stata poi successivamente riconosciuta ufficialmente anche dalle Nazioni Unite, nel 1992.

Ormai da molti anni, questa stessa data viene festeggiata anche in Italia, in tutte le città dove esistono associazioni che si occupano dei senza fissa dimora.

La ricorrenza del 17 ottobre in questi anni sta acquistando una rilevanza sempre maggiore. E’ sufficiente leggere le statistiche per scoprire che il mondo della strada è sempre più variegato e che è composto da una popolazione quanto mai eterogenea. Oggi, infatti, in strada c’è lo straniero senza permesso di soggiorno e il pensionato al minimo che è stato sfrattato e non ha altro posto dove andare. Il tossicodipendente e l’operaio che ha perso il proprio posto di lavoro. La persona con problemi psichici e l’imprenditore fallito.

Le mie possono sembrare parole dettate da una visione vagamente tragica e pessimistica della situazione, ma non è così.

Uno studio della Caritas pubblicato lo scorso anno dice che circa la metà delle persone che si sono rivolte alle mense dell’associazione cattolica per ricevere un pasto gratuito sono persone che una casa ce l’hanno, ma i soldi per fare la spesa no.

Secondo Eurostat, invece, oggi il 13,2% della popolazione italiana vive in condizioni di povertà relativa, mentre in Europa sono circa 72 milioni i cittadini a rischio di povertà. Intanto lo stato sociale nei vari paesi occidentali viene lentamente sgretolato da una lenta ma ineluttabile erosione, e sempre meno risorse vengono riservate al mondo del volontariato e dell’associazionismo.

Un recente studio ha dimostrato che le aspettative di vita delle persone colpite da questo stato di disagio nel Regno Unito sono il 42% in meno delle aspettative di una vita media. I senza fissa dimora vivono in sofferenza per tutto l’anno e il rischio di morte è costante durante tutto l’anno, non solo durante l’inverno.

E’ necessario comprendere che vivere per strada non è una libera scelta, ma il risultato di fattori individuali e strutturali. Fattori individuali come problemi di salute mentale o dipendenza grave e fattori strutturali, come l’aumento dei prezzi delle case o l’alto tasso di disoccupazione.

La grave emarginazione è una situazione inaccettabile. In tutti gli stati che si dicono “avanzati” ogni giorno vi è una continua violazione di quei diritti basilari che dovrebbero essere garantiti ad ogni individuo, e dunque anche a chi non ha una casa.

A questo proposito, lo scorso 17 ottobre a Roma, presso la Camera dei Deputati, si è tenuto un convegno intitolato “Forme di difesa pubblica”, a cui sono stato invitato in qualità di Coordinatore del Progetto Avvocato di Strada, l’esperienza di tutela dei diritti dei senza fissa dimora che è partita qui a Bologna nel 2001 e che si sta allargando a molte altre città italiane.

Durante il convegno, a cui hanno partecipato importanti figure tra cui Livio Pepino, del Consiglio Superiore della Magistratura, Ignazio Juan Patrone, Segretario Generale di Magistratura Democratica, Guido Calvi, Vicepresidente Commissione Affari Costituzionali, Senato della Repubblica, e Alberto Maritati, Sottosegretario al Ministero della Repubblica, si è parlato della possibilità di replicare in Italia quello che accade già in Argentina, dove già da tempo esiste un Ministero per la difesa pubblica, creato specificatamente per l’assistenza legale ai poveri, e che garantisce loro la possibilità di avere un aiuto qualificato da parte di avvocati pagati dallo stato. Quello che in Italia dovrebbe fare l’istituto del gratuito patrocinio, ma che, per stessa ammissione dei partecipanti al convegno, non basta più, visto l’alto numero delle richieste di aiuto.

Per proporre soluzioni reali a tali problematiche è cruciale un’azione concertata di tutti i soggetti che sono coinvolti, a cominciare dalle istituzioni comunali.

Chi vi parla ritiene non da oggi che la lotta alla povertà debba essere messa al centro del dibattito istituzionale, e che i problemi che da essa derivano debbano essere risolti con risposte adeguate. I problemi sociali vanno trattati in quanto tali, e non possono essere risolti con falsi strumenti, con la militarizzazione della società o magari allontanando i poveri dal centro storico per renderli meno visibili.

Una società avanzata si riconosce anche dai diritto che vengono riconosciuti ad ogni cittadino.

Ma un conto sono i diritti che rimangono sulla carta, e un altro conto sono i diritti di cui tutti, nessuno escluso, possono godere pacificamente. E questi, purtroppo, sono sempre molti meno dei primi.
La capacità di leggere in tempo utile i grandi mutamenti e le necessità della gente, di saper riconoscere le urgenze, e le proprie lacune, indica il grado di civiltà e di salute delle nostre istituzioni.

Vorrei concludere il mio intervento con le richieste che, come tutti gli anni, la FIO.psd, Federazione Italiana degli Organismi per le persone senza fissa dimora, ha fatto in occasione dello scorso 17 ottobre. La FIOpsd chiede:

– che il diritto alla salute e l’accesso ai servizi sanitari su base territoriale siano universalmente riconosciuti per tutti i residenti nel Paese e, in particolare per le persone senza dimora, tutelati come livello essenziale di assistenza (su questo punto faccio presente che ancora oggi i SFD non hanno diritto, in Italia, alle prestazioni del servizio sanitario nazionale se non a quelle di pronto soccorso);

– che si realizzi una nuova e seria ricerca scientifica quantitativa e qualitativa sulla grave emarginazione in Italia, nella quale si tenga conto anche dei profili sanitari della questione e si utilizzino i relativi dati disponibili;

– che l’introduzione del ticket per le prestazioni non urgenti rese dal Pronto Soccorso si accompagni con l’introduzione a livello nazionale di un’esenzione generalizzata per le persone in stato di grave emarginazione, sul modello della normativa inerente l’STP, esigibile come livello essenziale e rilasciabile anche su certificazione dei servizi sociali, pubblici e privati, che lavorano con le persone senza dimora;

– che l’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle persone migranti ed il contrasto delle malattie della povertà, operi come istituto scientifico specializzato ma con chiare finalità di diffusione, sensibilizzazione e formazione territoriale degli operatori di tutto il sistema di sanità pubblica al fine di facilitare l’accesso, la cura e la presa in carico socio-sanitaria delle persone senza dimora.

Antonio Mumolo